Articolo pubblicato su UrbanFile il 28 Febbraio 2021: https://blog.urbanfile.org/2021/02/28/urbanistica-le-piazze-delle-nostre-citta-significato-e-importanza-di-un-bene-prezioso-dimenticato/
Le peculiarità che hanno reso la piazza fondamentale nelle città tradizionali sono gli stessi princìpi che per troppo tempo abbiamo trascurato nelle moderne metropoli e che hanno fatto perdere ai quartieri identità e dimensione urbana. A Milano, con i progetti di urbanistica tattica, si sta cercando di dare nuova vita ai quartieri.
Il significato e l’importanza delle piazze nelle nostre città
Se c’è un luogo all’interno delle nostre città che ha risentito più degli altri dello stato di emergenza che stiamo vivendo, quello è la piazza. Rimarrà per sempre impresso nei nostri occhi lo scenario offerto dalla desolazione di Piazza Duomo a Milano o di Piazza San Marco a Venezia durante i giorni di lockdown, e viviamo ancora oggi la solitudine dei nostri centri abitati svuotati da abitanti e turisti. È il vivere la sua quotidianità a mancarci: qui abbiamo il punto di riferimento all’interno del nostro quartiere, ci incontriamo con i nostri cari, ci dirigiamo quando visitiamo una nuova città. Appare così ancora più evidente l’importanza che la piazza assume all’interno del sistema urbano, tanto da renderla fondamentale per la sua sopravvivenza.
La piazza ha sempre avuto un ruolo fondamentale nell’economia delle città e nella vita dei suoi abitanti. Nel corso dei secoli, ha assunto le più svariate funzioni: da quelle civiche a quelle religiose, da quelle commerciali a quelle popolari. Di più, nella maggior parte delle volte è proprio la funzione che ha dato vita alla piazza e non viceversa: un mercato, un sagrato, un campo del palio hanno permesso con il trascorrere del tempo la nascita di uno spazio pubblico. Per questa ragione, la piazza, come in generale lo spazio pubblico, è un luogo spontaneo d’incontro e per questo è simbolo di democrazia. Non a caso era proprio l’Agorà il luogo adibito alle pubbliche riunioni politiche nell’antica Grecia, società nella quale è nato proprio questo concetto.
«La piazza, e così lo spazio pubblico, è sinonimo di luogo d’incontro e quindi di democrazia»
Col passare del tempo, le piazze possono anche cambiare la loro funzione e la loro conformazione, ma mantengono sempre il loro fondamentale ruolo di riferimento. Un esempio particolare e significativo è quello di Piazza Navona a Roma, nata come stadio da oltre trentamila posti, quello di Domiziano, e diventata nei secoli una delle piazze più belle e visitate d’Italia.
La piazza, così come risulta dalla concezione tipicamente barocca, rappresenta il salotto delle nostre città, un luogo dove storia, architettura e cultura si fondono e assumono il fulcro della vita urbana, affermando l’identità di un popolo e rafforzandone l’unità. Proprio come quando accogliamo qualcuno in casa nostra, la piazza rappresenta il luogo dove il visitatore può mettersi comodo e godersi quello che di bello abbiamo da offrirgli. Questo concetto è sempre stato estremamente legato alla tradizione e alla cultura italiane, fino ad essere esportato in tutto il mondo.
«La piazza rappresenta il salotto delle nostre città»
Gli spazi pubblici hanno subìto modifiche di conformazione e di funzione nel corso del Medioevo, del Rinascimento e del Barocco, tanto da renderne riconoscibili i caratteri tipici semplicemente osservandoli. Nell’era moderna, le città sono però cresciute a dismisura, senza un chiaro e definito limite. Si è così persa una caratteristica fondamentale: la misura d’uomo, che si è riflessa anche sulla conformazione delle piazze contemporanee.
Da questo discorso, tenendo bene a mente le caratteristiche sociali ed artistiche di ogni epoca, appare evidente come la piazza è il vero e proprio specchio dell’era nella quale è contestualizzata e della cultura del popolo che la vive. Resta quindi da chiedersi se una “moderna” piazza desolata e minimalista non sia il riflesso di una società superficiale e povera dal punto di vista culturale.
«La piazza è lo specchio della cultura di un popolo e della sua era»
E se oggi finalmente assistiamo ad importanti progetti di rigenerazione urbana nelle nostre città, ancora notiamo una certa trascuratezza proprio nel curare lo spazio pubblico e le piazze, che invece dovrebbe essere il reale fulcro di questi interventi. Non basta infatti colorare un parcheggio di cemento, posizionare due panchine o prevedere qualche aiuola poco curata per creare un luogo di incontro.
Gli studi di Camillo Sitte e i caratteri della piazza
Sono tantissimi i modelli teorici della città ideale sviluppati nel corso dei secoli dai più grandi urbanisti e progettisti della storia, da Leon Battista Alberti ad Andrea Palladio. Proprio quest’ultimo, in una sua trattazione, sottolinea l’occorrenza della presenza delle piazze come luogo di contrattazione per le necessità dei cittadini e l’importanza della pluralità degli spazi pubblici anche all’interno della medesima città.
Tra questi studiosi, Camillo Sitte, urbanista austriaco di fine Ottocento, individua il problema e apre nel 1889 una fondamentale prospettiva di analisi del progetto urbano, pubblicando Der Städtebau nach seinen künstlerischen Grundsätzen, uscito nel nostro paese come L’arte di costruire le città.
Già in quegli anni, sottolineava come «Oggi, le piazze servono raramente alle grandi feste popolari e la vita di ogni giorno sembra abbandonarle sempre di più. Esse, spesso, non hanno altra funzione che quella di procurare aria e luce o d’interrompere la monotonia dell’oceano edilizio o, al massimo, di valorizzare l’effetto architettonico di qualche edificio». E’ evidente come queste osservazioni si possano ancora ripetere fedelmente per descrivere la struttura delle città di moderna costruzione.
Nel suo trattato, Sitte pone particolare attenzione alla qualità dello spazio urbano e alla sua effettiva percezione, osservando le città tradizionali e cercando di evidenziarne gli aspetti caratteristici da un punto di vista più generale e comune possibile, in modo da poterli rendere replicabili, sia attraverso territori diversi che nel corso del tempo. I suoi studi prendono come modelli soprattutto le piazze italiane medioevali, rinascimentali e barocche, oltre ad alcune celebri piazze europee.
L’urbanista, con il fine di individuare le ragioni della bellezza delle piazze del passato, individua alcuni caratteri ricorrenti per la corretta definizione degli spazi urbani – come il rapporto fra gli edifici, la presenza di monumenti e ornamenti, lo spazio libero, la circoscrizione dello spazio, la dimensione e la forma, l’irregolarità, i raggruppamenti – cercando di sottolinearne gli elementi fondamentali.
1) Il rapporto tra la piazza, gli edifici ed i monumenti
Il primo dei punti fondamentali del trattato, probabilmente il più importante, è quello del corretto rapporto tra la piazza, gli edifici che la circondano ed i monumenti. Infatti, Camillo Sitte inizia la sua trattazione sottolineando come nel Medioevo e nel Rinascimento le piazze urbane erano caratterizzate da una pratica utilizzazione per lo svolgimento della vita pubblica e presentavano pertanto una stretta concordanza con gli edifici circostanti, mentre nell’era moderna servono per lo più come posteggio di veicoli e perdono ogni collegamento artistico con i fabbricati.
Ai palazzi dei nostri Parlamenti mancano le Agorà recinte di porticati, le nostre università e le nostre cattedrali non hanno più l’atmosfera di pace d’una volta, il movimento così vivace della folla e degli affari del giorno di mercato non si verifica più, come un tempo, presso il palazzo comunale e la circolazione e l’animazione hanno preso altre vie, fuggendo proprio dai luoghi in cui, nell’antichità, erano più intense, ossia intorno agli edifici pubblici. È così che abbiamo perso in gran parte ciò che contribuiva allo splendore delle piazze antiche e, in modo del tutto simile, si è modificato anche il criterio della decorazione figurativa delle piazze, a tutto svantaggio delle realizzazioni odierne.
2) Lo spazio libero al centro della piazza
Da un punto di vista decorativo, la netta differenza tra il passato e la modernità è insita nel fatto che oggi per qualsiasi ornamento si cerca di realizzare piazze più grandi possibili: in questo modo si diminuisce però il suo effetto anziché aumentarlo. L’architetto della città tradizionale avrebbe invece ragionato come un vero ritrattista, scegliendo una scenografia neutra per risaltarne le caratteristiche. Nelle città tradizionali, si osservava poi una certa frequenza nella collocazione dei monumenti sui lati delle piazze anziché al suo centro. Nella modernità, si considera invece il centro della piazza come unico luogo utile per la disposizione di una statua. Questo comporta che, per una piazza di qualsiasi dimensione, non si può collocare che un solo monumento.
L’esempio più eclatante è la posizione del David in Piazza della Signoria a Firenze: nessuna amministrazione odierna avrebbe optato per una collocazione così apparentemente insignificante. Eppure, Michelangelo quella posizione l’aveva accuratamente scelta, studiando l’impressione che il suo capolavoro avrebbe prodotto all’osservatore: così, in contrasto con la ristrettezza della piazza ne ha evidenziato la misura umana e con il bugnato di Palazzo Vecchio ne ha risaltato le linee del corpo.
3) La piazza come spazio chiuso
Sempre citando Camillo Sitte, all’interno di una città uno spazio libero non diventa piazza che quando appare effettivamente chiuso. Questo concetto si riconduce, innanzitutto, al modello del foro romano e poi a quello della piazza intesa come salotto o stanza senza soffitto, tipicamente barocco.
«All’interno di una città uno spazio libero non diventa piazza che quando appare effettivamente chiuso.»
Oggi viene definito piazza un semplice spazio vuoto e, dal punto di vista della tecnica questo può anche essere giusto, ma in quanto all’arte, per il solo fatto che sul terreno non si costruisca nulla, non si può parlare di piazza urbana. Nel suo vero significato sono infatti richieste ben altre condizioni, che riguardano l’ornamento, il valore ed il carattere. Così, come esistono stanze ammobiliate e stanze vuote, così si potrebbe parlare di piazze lasciate libere o meno, mentre la condizione essenziale perché si possa parlare di piazze e stanze libere o meno, è la chiusura del loro spazio.
Anche questa condizione, che rappresenta la più importante e addirittura imprescindibile per l’effetto artistico, è troppo spesso ignorata nella moderna costruzione delle città. Gli antichi, al contrario, impiegavano i mezzi più svariati per soddisfare a quella condizione, anche nelle più svariate circostanze.
4) La dimensione e la forma della piazza
Camillo Sitte cerca di approssimare la definizione del rapporto tra le dimensioni della piazza e quella degli edifici che la circondano, assegnando l’altezza dell’edificio dominante come la profondità minima della piazza, che non deve però superare il doppio di questa dimensione.
Tuttavia, in campo urbanistico questa proporzione è difficilmente definibile con precisione, ma la buona pratica deve necessariamente seguire una coerenza tra l’estensione della dimensione della piazza e l’altezza dell’edificio dominante. Per determinare la forma tipica della piazza è quindi necessario osservare l’edificio che domina il suo insieme. Una piazza sviluppata in profondità produce infatti un buon effetto soltanto se l’edificio dominante sul fondo presenta un analogo rapporto tra le sue dimensioni, cioè se predomina lo sviluppo in altezza. Se, al contrario, la piazza è situata davanti ad un edificio più sviluppato nel senso della larghezza, bisognerà allora darle un uguale sviluppo in larghezza.
«Nell’arte dello spazio, tutto dipende dalle proporzioni relative. Viceversa, le dimensioni assolute hanno poca importanza.»
5) L’irregolarità delle piazze antiche
Nella città moderna si attribuisce alla piazza − e così a tutti gli elementi dell’ambiente urbano − il carattere fondamentale della regolarità e della simmetria, secondo forme metodiche ed allineamenti edilizi rigorosamente rettilinei. Ma questo non rappresenta una caratteristica così importante dal punto di vista artistico e soprattutto urbanistico.
Nella città storica si aprivano piazze di varia forma, più o meno geometricamente regolari, frutto di vicende e ragioni che di volta in volta avevano portato alla formazione di uno spazio pubblico, attraverso luoghi connessi fra loro da una continuità garantita dall’unità urbana, come la presenza di un elemento naturale o di un edificio poi scomparsi o la consuetudine nello svolgimento di un mercato o di un palio.
Le tipiche irregolarità delle piazze antiche si spiegano quindi con il loro naturale e progressivo sviluppo nel corso del tempo. Ed è proprio questo che assegna alle piazze storiche fascino e naturalezza, rafforzando il loro ruolo ed il loro effetto.
6) I gruppi di piazze
I gruppi di piazze attorno agli edifici principali rappresentano un motivo assai frequente nelle città tradizionali italiane, tanto da diventarne quasi una regola. Questa caratteristica nasce dall’effetto della chiusura delle piazze e dell’inserimento di chiese, palazzi ed edifici pubblici in mezzo agli altri fabbricati. Piazze e panorami urbani differenti si uniscono così per formare nel loro insieme un complesso armonico, che spesso accerchiano la stessa basilica o lo stesso gruppo di edifici.
A Milano, nella sola zona circostante il Duomo, trovano collocazione Galleria Vittorio Emanuele, Piazza della Scala, Piazza Mercanti, Piazza Cordusio, Piazza Fontana, Piazza Santo Stefano e tante altre. Il più famoso esempio nel nostro paese è sicuramente quello di Piazza e Piazzetta San Marco a Venezia, definita da Napoleone come il più bel salotto del Mondo. La prima è una piazza che si sviluppa in profondità rispetto alla Basilica e in larghezza rispetto alle Procuratie, mentre la seconda è una piazza in larghezza rispetto al Palazzo dei Dogi e una piazza in profondità rispetto alla veduta sul Canal Grande.
Le piazze della città moderna
La città dell’Ottocento, che prende da quella Barocca gli esempi di piazze progettate, riflette nel suo insieme una forma direttamente collegata alla loro logica. Dopo l’Ottocento, però, il concetto di piazza è mortificato dalla diffusione della cultura della pianta libera, dello spazio fluente sotto i pilotis e della frammentazione in elementi casuali e autonomi. Diverso è il rapporto con la maglia urbana, diversa è la concezione dello spazio, diverso è il trattamento degli edifici di contorno.
Così, nelle città contemporanee si osserva molto frequentemente una monumentale grandiosità degli edifici moderni ma una brutta sistemazione delle piazze e delle zone limitrofe, oltre ad imbattersi spesso in piazze sotto forma di enormi spianate, delle vere e proprie piazze d’armi. L’appellativo è però estremamente errato, in quanto le loro dimensioni mancano totalmente di proporzione rispetto agli edifici che le circondano e sono senza una chiara funzione. In questo modo, anche i fabbricati che ne fanno parte perdono importanza. È infatti sbagliato credere che l’impressione di grandezza prodotta dalla piazza cresca in funzione delle sue reali dimensioni: più lo spazio è grande e più l’effetto è debole, perché gli edifici ed i monumenti, visti da lontano, sembrano tutti uguali nell’immensità della piazza e non possono imporsi. Tutta la recente letteratura in materia di piazze ha però trascurato questi problemi evidenti.
«È sbagliato credere che l’impressione di grandezza prodotta dalla piazza cresca in funzione delle sue reali dimensioni.»
Un fattore importante che influisce sulla sproporzionalità delle piazze moderne è quello della dimensione delle strade. Le vie strette delle città antiche permettevano di assegnare le giuste e modeste dimensioni alle piazze nelle quali sfociavano, mentre le carreggiate larghe delle città contemporanee influenzano necessariamente anche i corrispondenti spazi pubblici.
Ma questo non capita solamente a larga scala: è ormai frequente la sistemazione di piazze di piccole e medie dimensioni, nuove oppure esistenti, con una desolazione ed una povertà progettuale tali da renderle fini solamente a sé stesse. Un luogo mal progettato e poco curato è destinato inevitabilmente a diventare meta di degrado, vandalismo e vagabondaggio, non integrandosi con il tessuto urbano esistente e rimanendo così estraneo alla vita di tutti i giorni.
Milano e il programma delle “Piazze aperte”
Piazze aperte è un programma promosso dal Comune di Milano, rientrante nel più generale Piano periferie, che applica l’approccio del cosiddetto “urbanismo tattico”, ovvero la rigenerazione urbana a scala di quartiere attraverso interventi spaziali e politici a breve termine, a costo ridotto e tramite il coinvolgimento dei cittadini.
L’obbiettivo è quello di far tornare le piazze secondarie, per troppo tempo trascurate in città come Milano, ad essere luoghi centrali nella vita dei quartieri, e non più solamente aree di sosta per auto o zone di degrado. Pierfrancesco Maran, assessore all’Urbanistica del Comune di Milano, ha spiegato come questo progetto rappresenti uno dei principali propositi della giunta, sottolineando che Milano è una città di piazze.
«Milano è una città di piazze.»
Il primo passo per interventi di questo tipo è la realizzazione di progetti sperimentali a carattere temporaneo, utili per verificare l’effettiva buona riuscita e valutare eventuali miglioramenti, anche tramite indagini e consigli ottenuti dal coinvolgimenti degli abitanti. Una volta ottenuto un ritorno positivo in termini di relazioni sociali, commercio e traffico, è possibile procedere con interventi definitivi, volti a trasformare le aree fino a qui temporanee in piazze permanenti.
Con questo sistema, oltre ad evitare sprechi di denaro, si cerca di trovare la soluzione migliore per la creazione di uno spazio pubblico da zero. Il ricorso al periodo di soluzione temporanea è dato dalla necessità di forzare all’interno di una realtà quotidiana radicata la nascita di un luogo di incontro dove prima non c’era, per poi garantirne la permanenza con la costruzione di un ambiente ideale.
Dopo i primi interventi di urbanistica tattica, che sono serviti per sperimentare la buona riuscita dei progetti previsti ed il loro miglioramento, stiamo ora assistendo ai primi risultati, che stanno riscontrando pareri positivi da parte della popolazione. La speranza è che a Piazze aperte sia garantita continuità e qualità. è infatti fondamentale che a questi lavori vengano destinati fondi sufficienti e che gli interventi evolvano sempre in opere permanenti, per evitare che i risultati siano deludenti e controproducenti, in quanto non basta colorare l’asfalto e installare due panchine per poter dire di avere dato vita ad una nuova piazza. Ora non resta che attendere il completamento dei cantieri attualmente in corso per poter giudicare a pieno i risultati del programma.